Spesso, in ambiente calistenico, si sente l’uso improprio della parola tendinite per riferirsi a qualsivoglia sensazione dolorifica localizzata, specie in zona polsi, gomito,e spalle.
Ma come riconoscerla? Di cosa si tratta? Come evitare lunghi periodi di stop?
Innanzitutto, la “tendinite” non esiste. Con questo termine ci si riferisce ad un particolare tipo di tendinopatia; taluni ribattono che con “tendinite”, ci si riferirebbe all’infiammazione del tendine vero e proprio, ma ciò non ha senso in quanto, come diremo più avanti, il tendine non può infiammarsi.
Con tendinopatia, si intende quindi l’insieme delle patologie tendinee, a loro volta divise in: peritendinite (infiammazione del peritenonio, una guaina connettivale che avvolge il tendine) e, tenosinovite (infiammazione della borsa tendinea), e in ulteriori altre di natura non propriamente infiammatoria ma meccanica, come rotture, e degenerazioni .
Chiarito l’uso improprio del termine, teniamolo pure in uso per maggiore chiarezza di linguaggio dato che oramai anche in ambito medico viene diagnosticata spesso una tendinite, intesa come infiammazione aspecifica a carico di un distretto tendineo laddove appunto, per la maggior parte dei casi, sarebbe più corretto parlare di tenosinovite. Infatti, è impossibile che un tendine si infiammi; per svilupparsi una infiammazione, c’è necessariamente bisogno della presenza di una vascolarizzazione sanguigna, che al tendine manca; a infiammarsi, è appunto il peritenonio.
Ma procediamo con ordine; cos’è un tendine?
Un tendine è essenzialmente un tessuto connettivo composto da matrice extracellulare e fibre, specializzato nel resistere alle forze di trazione; è costituito principalmente da fibre collagene (85%)e, in minor parte, da elastina, una fibra proteica che conferisce le capacità di assorbire e trasmettere le sollecitazioni causate dalla contrazione muscolare.
Le fibre nel tendine, si dispongono in parallelo per meglio gestire il carico lungo il proprio asse, offrendo enorme resistenza a forze applicate lungo l’asse tendineo; è presente inoltre la matrice extracellulare, con compito di idratazione e supporto.
Come le altre fibre, anche quelle tendinee presentano un carico di rottura; grazie all’elastina, il tendine possiede la capacità di variare la propria lunghezza sotto tensione, ma fino a che punto? Una lunghezza fisiologica accettabile è una variazione sotto contrazione dall’1 al 3% della lunghezza di riposo; dal 5-8% si ha un sicuro trauma , sopra gli 8%, la rottura totale.
Chiaramente, la salvaguardia dei tendini è fondamentale per il sistema osteomuscolare, in quanto unico mezzo per trasmettere alle ossa la forza generata dai muscoli; ecco perché sono rivestiti da una guaina tendinea, che ne impedisce lo sfregamento e il deteriorasi contro le ossa nel tempo.
Una delle conoscenze fondamentali da sapere è che il tendine è un tessuto metabolicamente attivo: nonostante la pochissima vascolarizzazione, può reagire agli stimoli esterni, adattandosi alle intensità di lavoro e modificando di conseguenza le proprie caratteristiche mediante un lento processo di rinnovamento cellulare.
Classificare le lesioni:
Nonostante queste misure di salvaguardia, come ogni altra parte del corpo, anche i tendini possono andare incontro a lesioni e infiammazioni; è molto difficile lesionare un tendine; come evidenziato dalla sua descrizione, è progettato apposta per gestire elevate tensioni lungo il suo asse; tuttavia possono verificarsi lesioni dirette (causate nell’ immediato da un trauma esterno) o indirette (sovraccarico funzionale di qualsiasi tipo).
A loro volta, le lesioni indirette si classificano in tre tipi: acute, cioè generate da un carico eccessivo che porta un brusco stiramento del tendine, troppo intenso da tollerare, causando la rottura di alcune fibre o del tendine in toto; ciò può verificarsi in casi di estrema sollecitazione, come bruschi cambi di direzione a tutta velocità, momenti di salto monopodalico, o uso improprio di carichi massimali.
Le lesioni croniche, sono quelle più comuni nel calisthenics; sono dovute ad un sovraccarico funzionale che avviene nel tempo; la produzione di microlesioni tendinee, che impiegano molto più tempo a rigenerarsi totalmente a differenza della fibra muscolare; ciò porta a una degenerazione complessiva del tessuto che, inevitabilmente, comporterà cedimenti più o meno gravi. L’ultimo tipo di danno, le lesione acute su pre-esistenti coniche, sono l’esempio estremo, ovvero la rottura parziale o totale di un tendine già deteriorato in cronico.
A questo punto, dovremmo avere ben chiaro la struttura principale di un tendine, e i tipi di danni e infiammazioni che esso può subire, nonostante una resistenza alla frattura solo 15 volte inferiore all’acciaio.
Nel prossimo articolo, ci concentreremo sulle infiammazioni tendinee più frequenti nel calisthenics, ovvero quella bicipitale, quella alla cuffia dei rotatori, e quella del tensore lungo del pollice; inoltre, vedremo come prevenirle, trattale, e “curarle” senza invadere i campi più prettamente di ambito medico, gestire i tempi di recupero, e il possibile adattamento tendineo.
Dott. Di Scienze Motorie Castelli Giorgio
Mail: giorgio.caste@hotmail.it
Pagina Fb: Science of Calisthenics – Giorgio Castelli
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